Feriti dai terremoti, stiamo cercando la speranza

Due devastanti terremoti, il 20 e il 29 maggio, hanno messo in ginocchio San Felice e la sua economia. Il calcio non ha più risorse per l’Eccellenza, la speranza è appesa ad un filo: quella della passione dei giocatori giallorossi e di quei pochi che cercheranno agli aiuti per continuare. Ma l’impresa è in salita

SAN FELICE Neppure il tempo di gioire per un miracolo sportivo, ovvero per l’esaltante salvezza che un gruppo di giovani straordinari ed un allenatore capace avevano conseguito. Neppure il tempo di pensarci, e ci è arrivato addosso questo mostro.
La Bassa devastata, colpita alla schiena, a tradimento. I morti, i feriti, i feriti e gli infartuati che poi sono morti, L’economia gambizzata, le multinazionali con un piede in partenza. E la nostra rocca, simbolo di una civiltà e del nostro stesso sport, bombardata. Le gente senza le case, nelle tendopoli, nei campi spontanei. Lo stadio solcato da una ferita venuta dalle viscere della terra, e dal continuo via vai di elicotteri, ministri, personalità e stellette chiamate a visionare, a promettere, a garantire… Gli spogliatoi costretti al servizio dei terremotati, l’antistadio trasformato in crescente spontanea tendopoli dalla disperazione e dallo smarrimento della gente.
In tutto questo, gli spazi per il calcio, per lo sport sembravano scomparsi. Sono scomparsi. I dirigenti della società hanno preparato la bandiera bianca, quella della resa. Resa obbligatoria dalle condizioni di choc di una economia che allo sport non può più dare niente, che si rifiuterà di dare allo sport.
Tutti si ritirano, tutti rinunciano all’Eccellenza, i cui costi oggi – qui – sono proibitivi. All’orizzonte di luglio c’è una bandiera bianca ammainata. C’è la fine di un sogno che è anche un valore sociale, oltre che patrimoniale.
In mezzo, da qui a luglio 2012, c’è una riflessione, una sola leva: lo sport del calcio come ambiente di rinascita, di socialità, di garanzia per le famiglie che tutto questo avverrà sul verde dei prati, e non nel chiuso di palestre inagibili. Lo sport del calcio deve ai nostri giovani, alle nostre famiglie, l’impegno a dare loro un’opportunità.
Poi c’è lo sport come bandiera di una collettività, come simbolo della capacità degli uomini di competere, di non arrendersi. Ecco un motivo per non rinunciare a quell’Eccellenza. Ecco l’impegno dei ragazzi dell’Us San Felice ad accettare questa sfida. Ecco l’impegno di un allenatore che non ha pari a percorrerla, questa sfida. Rischiando del suo, andando in salita, controcorrente. Così ci sono persone che in questi giorni sono al lavoro, per restituire un sorriso al nostro sport più amato, all’Eccellenza del nostro sport. Se ce la faranno, se questa bandiera resterà a sventolare i nostri colori, lo dovremo a loro, e a quanti con loro, fuori e dentro San Felice, vogliono sconfiggere anche nel calcio il mostro che potrà ferirci, ma non potrà prendersi le nostre anime. E la nostra passione.